E' stato il Figlio
Ciprì torna alla regia dopo 8 anni, per questo film del
quale ha curato autonomamente anche la fotografia: non lo ricordavo, ma è stato
Ddf di Roberta Torre, oltre che naturalmente di Maresco, di Bellocchio e di Celestini, ma questo forse
è un dettaglio che interessa solo a me.
Che dire di questo film, se non che si tratta di un
capolavoro del grottesco? Si sa, io vedo di tutto, ma era da un po’ che un prodotto
cinematografico non mi colpiva in questa
maniera: è stato come ricevere una coltellata nello stomaco, mi ha lasciata
stordita, quasi disgustata. Non amo
ripercorrere le trame dei film, perché credo che scriverne debba servire ad
aggiungere qualcosa: uno sguardo, un pensiero, senza rivelarne nulla e si sa,
una storia colpisce proprio se non se ne conoscono i risvolti.
Di certo credo che questa pellicola sia un’ottima critica ai
lati più squallidi e tristi della nostra Italia, impostata in maniera
assolutamente intelligente, mai banale e a tratti anche divertente. A parte
qualche autocitazione, per lo più figurativa, nella scelta di alcuni personaggi
dalle caratteristiche somatiche deformi, com’è sempre stato nello stile di
Ciprì e Maresco, per il resto ogni individuo è studiato e recitato in maniera impeccabile,
almeno dal mio punto di vista, ed anche visualizzato nella maniera più pregnante
che ci potesse essere. Noi, dietro alla cinepresa, , interagiamo con questi
personaggi come se potessimo sentirne l’odore e il sudore, su qualunque piano.
Ancora una volta
Ciprì è riuscito a trasmettere non solo i contenuti allegorici e diretti di una
storia come quella di Alajmo , ma tutta la carnalità, la disperazione e l’animalità
di questi individui, che non possono far altro che continuare a sopravvivere e
a puntare alla salvaguardia di loro
stessi, nel continuo mantenimento delle specie che fa parte della natura, ma in
un ambiente che con il naturale non ha quasi più nulla a che vedere , deformato
dalle idee, dalle strutture, dai sogni e dai bisogni degli esseri umani che lo abitano.
Un neanche tanto piccolo capolavoro dunque, che sintetizza
alla perfezione, visivamente ed emotivamente, la violenza e la follia
intrinseca dell’esistenza, nella quale noi siamo pedine, piegate dalla forma
delle nostre scacchiere. Un elogio alla fotografia, impeccabile, incisiva,
funzionale. Un encomio a Servillo, che come attore stimo sempre di più, nella
sua interpretazione esasperata, ma allo stesso tempo nervosamente realistica,
di questa vittima tra le vittime, padre di famiglia senza alcun potere, né
diritto.
Anche i luoghi parlano in questo film: tutto, esprimendo un
profondo disagio per la perdita totale di qualunque forma di presunta oggettività.
Una nota per me: il volto della madre, la fame della madre e la geniale figura del pensionato-usuraio, intercambiabile e sovrapponibile, ma sempre ferma su concretissime condizioni.
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