Il labirinto del Fauno: l’ormai mito di Ofelia e la fuga dalla realtà ( e chi se l’aspettava?!)
Un film che mi ha trasmesso direttamente sottopelle l’idea della crudeltà indicibile della guerra e dell’umanità nei suoi risvolti peggiori. Questo piccolo capolavoro esteticamente davvero potente e suggestivo, come in effetti solo una favola perfetta sa essere, a livello emotivo mi ha colpita moltissimo. Ogni immagine del film è satura di rimandi psicologici, mitologici, di icone di ogni tempo e paure archetipiche. La fotografia di Guillero Navarro è eccezionale e fa da subito pensare ad una sensibilità estetica anche violenta, di quelle che potremmo rimandare a Un chien andalou di L. Buñuel e S.Dalí: è immediato a questo proposito l’accostamento visivo alla scena della morte di Vidal ( al suo occhio), mostrata nel dettaglio in maniera talmente verosimile da scavalcare la realtà stessa per sottolinearne in maniera abnorme gli aspetti più bassi e crudeli. Era da tempo che non trovavo un film così capace di rendere sia a livello figurativo che più propriamente psicologico e narrativo il punto di vista di un bambino, in grado sul serio di trasfigurare la realtà in sogno e viceversa. La ninna nanna di Mercedes che fa da sottofondo al finale è uno dei momenti più struggenti che abbia mai vissuto, forse perché Del Toro riesce perfettamente a farci amare questo sguardo innocente sulle cose, la magia che Ofelia (una perfetta Ivana Vaquero) si crea intorno e che a molti, della propria infanzia, piacerebbe poter recuperare. Lascia ancora più malinconici, quasi senza parole, il pensiero di desiderare intensamente in realtà che ogni fine misera e ingiustificata, anche dignitosa, ma comunque e sempre crudele, come la morte di questa bambina, possa riscattarsi nell’accesso ad un altro mondo. Trascinati in maniera dolce e convincente nell’evolversi degli eventi del racconto ci si scopre a pensare, immersi nei colori della mente, della fiaba e allo stesso tempo della ricostruzione storico-romanzata, che il “padre Re” e la “madre Regina” inevitabilmente non possa essere che un sogno, ma non per questo meno vero della realtà, poiché nella mente dei bambini i sogni rappresentano precise verità (esattamente come in quelle dei folli, alle quali non si può non collegare l’eterna questione della fuga dalla realtà, intesa sia come fenomeno negativo, malattia, che come forma di salvezza propriamente mentale). Osservare le dinamiche di questa mente giovane e sognatrice in un momento aberrante come quello dello scontro in guerra tra violenza allo stato puro e resistenza, risulta affascinante e allo stesso tempo estremamente triste, poiché ci si trova a guardare al punto di vista dell’infanzia in maniera ormai disincantata e dunque sensibilmente diversa. Il labirinto del Fauno mi ha saputo raccontare parte della storia di una guerra, parlare di scontro in sé e per sé, di infanzia e allo stesso tempo di cosa significa per molti la disillusione dell’età adulta, mi ha stupita con i suoi mostri e le figure sorprendenti (vedi il rospo nell’albero o l’agghiacciante Orco Bianco) che in esso vengono raccontati, a livello visivo colpita in pieno e sarà anche una questione di sensibilità personale, non so, ma soprattutto lasciata di sasso per la capacità di fondere tutto questo in maniera ineccepibile.
Un piccolo capolavoro, una delle storie più belle e più terribili che abbia mai visto e ascoltato, un film che sinceramente da parte di Del Toro non mi aspettavo.
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